introduzione
All’inizio dell’estate 2023 doveva svolgersi una visita in Francia del presidente algerino Abdelmajdid Tebboune. Già rinviato due volte, reso rischioso dopo un frenetico viaggio in Portogallo (22-23 maggio) (1) e delicato dalla sua visita a Mosca (14-16 giugno), questo viaggio avrà finalmente luogo? Difficile da immaginare nel contesto attuale. L’ultima visita ufficiale in Francia di un capo di Stato algerino risale al 2000, con la visita (all’epoca particolarmente importante) di Abdelaziz Bouteflika. Nel 2010 si era parlato di un nuovo viaggio a Parigi del presidente algerino, ma i rapporti tra i due Paesi, già tesi, alla fine ne hanno impedito la realizzazione.
È necessaria, è utile una visita così ufficiale, quando Emmanuel Macron ha effettuato un soggiorno di tre giorni nel Paese meno di un anno fa e anche il primo ministro Elisabeth Borne si è recato ad Algeri a metà ottobre 2022, accompagnato da quindici membri del suo governo ? Perché ricevere il presidente Tebboune, quando solo poche settimane fa la stampa e i funzionari algerini attaccarono violentemente la Francia e il suo presidente, non esitando a definire “barbouzerie” la protezione consolare concessa ad Amira Bouraoui, attivista francese-organizzazione algerina per i diritti umani, e dei “barbouzes” i capi ufficiali francesi? Perché accogliere finalmente a Parigi il capo di Stato algerino che si congratula durante il suo recente soggiorno a Mosca per i suoi rapporti amichevoli con Vladimir Putin e che il giorno prima ripristina il famoso terzo verso antifrancese dell’inno nazionale?
C’è sia un enigma da risolvere che un problema da risolvere. Quale vantaggio intende trarre la Francia da questo progetto? Quali vantaggi avrà? Qual è l’intenzione dietro questa visita ufficiale? Come analizzare l’insistenza che ora il Presidente della Repubblica pone nel curare e valorizzare il rapporto della Francia con l’Algeria quando, come vedremo, la sua politica algerina è a dir poco tortuosa dal suo arrivo all’Eliseo nel 2017?
Ipotizziamo che Emmanuel Macron stia lanciando una scommessa, di cui cercheremo di analizzare i dettagli. Si parla di scommesse perché la puntata è massima, le possibilità di vincita minime e l’altro scommettitore poco pronto a regalarci la vittoria. Che si tratti della questione migratoria, così significativa per il nostro Paese, del deterioramento dei rapporti della Francia con il Marocco o della legittimazione del “durevolissimo sistema politico-militare” che governa l’Algeria (secondo le stesse parole di Emmanuel Macron), questa scommessa si basa su illusioni, errori analitici e significativi rischi politici e geopolitici. Poiché i rapporti tra Francia e Algeria sono stati così a lungo delicati e appassionati, la scommessa algerina del presidente Macron dovrebbe includere più lucidità, chiaroveggenza e prudenza, come i suoi stessi interlocutori sanno dimostrare queste qualità… a cui aggiungono, quando necessario, un dose di cinismo.
Emmanuel Macron e l’Algeria:
quale linea guida, quale progetto?
Si potrebbe, a prima vista, pensare che una tale visita – e ancor di più se si trattasse di una visita di Stato, con tutti i “riti” che essa comporta: ricevimento ufficiale a Orly, Guardia Repubblicana, salita degli Champs-Elysées, cerimonia all’Arco di Trionfo, discorso davanti al Parlamento, ecc. – costituisce la consacrazione, il culmine di un percorso diplomatico destinato a portare frutti negli anni a venire. Il viaggio del cancelliere Konrad Adenauer a Parigi, la visita di Stato del generale de Gaulle a Bonn e in Germania nell’estate del 1962, ad esempio, segnarono la riconciliazione franco-tedesca, così come i numerosi viaggi e le visite di Stato della regina Elisabetta a Parigi avrebbero dovuto testimoniare la solennità e la sincerità dell’amicizia franco-britannica. E l’Algeria? Possiamo sperare in un processo simile nel rapporto franco-algerino?
Significato e portata delle visite presidenziali negli ultimi vent’anni
Se guardiamo al passato, se analizziamo le tappe del rapporto bilaterale franco-algerino, non vediamo nulla del genere. Il viaggio del presidente Chirac ad Algeri nel 2003 fu in risposta alla visita di Stato di Bouteflika nel 2000 e fu il preludio a quella che il presidente francese ritenne una vera e sincera riconciliazione con l’Algeria, simboleggiata da un trattato di amicizia allora allo studio e che avrebbe potuto stato in un certo senso lo specchio del trattato di amicizia firmato nel gennaio 1963 con la Germania. Questi due viaggi corrispondevano anche alla vera amicizia che Chirac e Bouteflika avevano l’uno per l’altro, due uomini che avevano combattuto ciascuno per conto proprio la guerra in Algeria e che avevano compreso la natura tragica e fragile ma quantomeno necessaria di una relazione. pacifica tra le due capitali.
Qualche anno dopo, la visita ad Algeri ea Costantino nel dicembre 2007 corrisponde, da parte del presidente Sarkozy, alla volontà di “distinguersi” dalla sua immagine di ministro dell’Interno, responsabile soprattutto dell’ordine e dell’immigrazione. François Mitterrand, come François Hollande due decenni dopo, vollero, ognuno a suo modo, “ricostruire” i rapporti bilaterali e aprire quello che sarebbe stato, nelle loro menti, un nuovo capitolo nella tumultuosa storia dei rapporti tra Parigi e Algeri.
2017-2022: un rapporto tortuoso
Ci sono gli stessi ingredienti nel rapporto tra i presidenti Macron e Tebboune? Mettiamo da parte il rapporto personale, sincero e probabilmente amichevole che sembra esistere tra i due uomini di estrazione politica eppure così diversi e ovviamente di generazioni diverse.Quello che si vede è la sinuosità del rapporto tra le due capitali dal 2017, al punto che è difficile seguirne la linea guida. Nel 2017, il candidato Macron fece un viaggio ad Algeri, un viaggio che faceva parte dell’allora consueto percorso dei candidati francesi alle elezioni presidenziali – Nicolas Sarkozy, François Hollande, Alain Juppé, Ségolène Royal l’avevano fatto prima di lui. Ma a differenza di quest’ultimo, in piena campagna elettorale, forse per essere “messo in dubbio” da Algeri e per prosciugare i voti dei franco-algerini di Francia, Emmanuel Macron pronuncia poi questa frase rimasta celebre, che qualificava la colonizzazione come ” crimine contro l’umanità». Frase che gli è valsa simpatia alla sua sinistra e forti critiche alla sua destra. Pochi mesi dopo, una volta eletto, è seguito un viaggio definito “visita di lavoro e amicizia” che ha permesso di gettare le basi per una futura politica algerina e di fare da contraltare alla visita a Rabat del giugno 2017.
Seguono poi i “gesti commemorativi” destinati tanto a riconciliare la Francia con una pagina oscura della sua storia quanto a mostrare ad Algeri la sincerità dell'”impegno algerino” del Capo dello Stato: riabilitazione di Maurice Audin e Ali Boumendjel, riconoscimento della responsabilità dell’esercito nella morte di quest’ultimo, restituzione delle ossa dei combattenti algerini poi, infine, commissione a Benjamin Stora di una relazione sulle “questioni commemorative”, presentata all’inizio del 2021. Gesti apprezzati ad Algeri, ma senza dubbio ritenuti insufficienti. Algeri che non risponde a queste iniziative, se non con critiche ufficiose (ma in Algeria nulla è mai ufficioso), poi arriva una doppia sequenza a dir poco poco comprensibile: da un lato, la decisione del ministro dell’Interno Gérald Darmanin nell’ottobre 2021, per ridurre del 50% il rilascio del numero di visti per l’Algeria (e, per buona misura, per Marocco e Tunisia); dall’altra l’intervista a Le Monde in cui il presidente Macron usa nei confronti di Algeri termini mai usati prima: punta infatti il dito contro una “storia ufficiale” molto significativa in Algeria, “totalmente riscritta che non si basa su verità” , un discorso «basato sull’odio per la Francia», la «nazione algerina post-1962 [che] fu costruita su una rendita commemorativa», il presidente Tebboune, «preso da un durissimo sistema politico-militare». Queste formule, che appaiono come il negativo di quelle sulla colonizzazione del febbraio 2017, vengono ritenute inammissibili al di là del Mediterraneo e aprono la prima crisi diplomatica di questo quinquennio – con, per la prima volta, il richiamo alla Ambasciatore algerino in Francia. Si potrebbe allora pensare che Parigi, esasperata dall’immobilismo algerino sui valichi consolari, abbia deciso di attenersi a questa linea dura basata sull’instaurazione di un “rapporto di forze” con l’Algeria.
Ma, voltafaccia, cambio di passo, qualche mese dopo con una trasferta di tre giorni ad Algeri e Orano (25-27 agosto 2022), mentre da parte algerina non è stato compiuto alcun gesto, se non come spesso di vaghe promesse sul franco -“Partnership d’eccezione” algerino. Nel dicembre 2022 Parigi decise, curiosamente, di ripristinare il “normale” rilascio dei visti, e,
come ricompensa, viene insultato da Algeri per aver protetto l’attivista franco-algerina per i diritti umani Amira Bouraoui. Accusata di “barbouzerie”, di ingerenza negli affari algerini da parte di una stampa su ordine, integrata da social network anch’essa su ordine, Parigi sceglie di non dire nulla, di non protestare e infine di comportarsi come se tutto ciò fosse abbastanza banale nel franco-algerino relazione.
È in questo contesto che è emersa l’idea di una visita di Stato del presidente Tebboune in Francia. Ma a cosa serve una visita, vista la freschezza dei rapporti tra i due Paesi? Per raggiungere quale obiettivo? Difficile rispondere a queste domande perché la politica francese nei confronti di Algeri manca dal 2017 di una linea guida. Tra fermezza ipotizzata per un breve periodo e amicizia proclamata, questa politica tortuosa, tutta in oscillazioni incerte, non è affatto una politica . In realtà è una scommessa.
Le illusioni
della scommessa algerina
È chiaro che una volta presa la decisione di organizzare il viaggio del presidente algerino a Parigi, il calendario avrà subito le variazioni di temperatura inerenti al rapporto bilaterale: prima fissato a maggio, poi rinviato a data da destinarsi, poi annunciato per Giugno (senza che sia mai stato pubblicato un calendario ufficiale), ora non è chiaro se si svolgerà. Una vaga spiegazione, data ad Algeri, indicava che le manifestazioni contro la riforma delle pensioni in Francia rischiavano di compromettere il regolare svolgimento di questa visita. Le manifestazioni, tuttavia, raramente hanno infastidito le autorità algerine… ad eccezione di quelle organizzate in Francia da oppositori algerini, soprattutto Kabyles. Questa febbrilità del calendario in realtà maschera le incertezze della scommessa algerina del presidente francese. Osservatori esperti del rapporto tra i due paesi cercano di capire cosa sta cercando di ottenere quest’ultimo e avanzano diverse possibili spiegazioni. Elencano e analizzano i grandi temi sui quali la Francia trarrebbe vantaggio da un accordo, se possibile ambizioso e solenne, con l’Algeria. Esaminiamo questi file.
Gas algerino
Molti giornalisti e osservatori spiegano la nostra “amicizia algerina” per ragioni legate alla questione energetica. La necessità per la Francia di diversificare le proprie forniture di gas, accentuata dalla guerra in Ucraina da più di un anno, sarebbe un fattore esplicativo credibile. Tuttavia, se gas e petrolio sono sempre stati elementi importanti nel rapporto tra i due Paesi, va ricordato che, a differenza dell’Italia, il gas algerino rimane abbastanza marginale nelle forniture francesi (8%) e soprattutto che il Paese non dispone attualmente di qualsiasi ulteriore capacità di esportazione. Il paese proclama certamente la sua ambizione di raddoppiare la sua produzione, ma ha solo una capacità molto limitata di aumentare le sue esportazioni. Alla fine, ovviamente, il gas algerino potrebbe rimanere importante per la Francia. Ma, così com’è, non può costituire una spiegazione soddisfacente della scommessa algerina di Emmanuel Macron.
Rafforzare il commercio
Con un interscambio di 11 miliardi di euro e un deficit della bilancia commerciale di 2,1 miliardi nel 2022, la posizione commerciale della Francia in Algeria si sta deteriorando per due ragioni: in primo luogo, per la scarsa aggressività delle nostre imprese che credono erroneamente che il mercato sia decisamente loro, mentre la concorrenza cinese, turca, ma anche tedesca e italiana non ci fa favori; in secondo luogo – e forse soprattutto – perché in Algeria sia l’economia che il commercio sono guidati soprattutto da considerazioni politiche. I francesi troppo spesso pensano di essere i “fornitori naturali” degli algerini, ma questi argomenti difficilmente pesano contro le considerazioni primordialmente politiche da parte algerina. Se tutto, la vicinanza geografica ma anche culturale e la lingua comune dovrebbero dare notevoli vantaggi alle nostre aziende, le scelte commerciali algerine sono dettate soprattutto da questo approccio. Come spiegare altrimenti la totale assenza di imprese edili francesi, settore in cui le nostre imprese tengono testa nel resto del mondo? Come spiegare, più recentemente, l’acquisizione dell’aeroporto di Algeri da parte di AdP? La fine del contratto di gestione della metropolitana di Algeri da parte della RATP? L’abbandono, dopo due decenni, dell’appalto per la gestione dell’approvvigionamento idrico ad Algeri da parte del gruppo Suez? Più recentemente la cancellazione di un contratto Total?
Certo, come sa fare, la Francia sta organizzando, in vista dell’ipotetica visita del Presidente Tebboune, seminari, fiere e gruppi di lavoro. Ma a cosa porteranno queste riflessioni e questi contatti, che il nostro sistema amministrativo gestisce meravigliosamente, quando la decisione è e rimarrà principalmente politica ad Algeri? L’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin, come fece dieci anni fa, è chiamato in soccorso per cercare di vederci chiaro e per preparare le delicate pratiche economiche con un interlocutore algerino designato, l’ex ministro Cherif Rahmani. Ma l’ex presidente del Consiglio troverà gli stessi fascicoli di dieci anni fa (Renault e Peugeot a Orano, Danone, Bel e le fatture non pagate algerine), fascicoli poco cambiati dagli anni 2000. Il mucchio, Algeri potrà dare il illusione a Parigi che le sue aziende siano coccolate e trattate bene. Poco più…
Vendita di armi
Alcuni osservatori della visita a Parigi di inizio anno del generale Saïd Chengriha, Capo di Stato Maggiore dell’esercito algerino e, con i suoi coetanei, vero e proprio “Protettore” del Paese un po’ come Cromwell, cominciano a sognare favolosi contratti militari, anche le vendite di Rafales, in un momento in cui Algeri non può contare troppo, contro il Marocco, sul suo tradizionale alleato russo, mobilitato dalla guerra contro kyiv. Recandosi a Mosca, il presidente Tebboune cerca di rafforzare questo legame indissolubile con la Russia, ma la guerra in Ucraina limita per un po’ la possibilità di Mosca di equipaggiare l’esercito algerino e lo costringe a rivolgersi ad altri fornitori. In ogni caso, un tale processo richiederà tempo. E non bisogna sognare troppo: l’esercito algerino, erede del glorioso “Esercito di Liberazione Nazionale”, sarà sempre riluttante, per ragioni politiche e ideologiche, a dotarsi di mezzi francesi. La Russia fornisce l’esercito e l’aeronautica, la Germania la marina, l’Italia l’aviazione leggera dell’esercito (ALAT) principalmente in elicotteri. Per la Francia, non ci saranno mai più di poche briciole, come radar, apparecchiature a infrarossi, ecc. Esci, quindi, dalla spiegazione militare.
Sicurezza nel Sahel
In un momento in cui la Francia, costretta e contestata, sta ponendo fine all’operazione Barkhane in Mali e riducendo drasticamente la sua presenza militare nella regione, alcuni esperti parlano della ricerca di un accordo da parte di Parigi con Algeri. Va ricordato, tuttavia, che l’Algeria non ha visto di buon occhio la presenza dell’esercito dell’ex colonizzatore al suo confine meridionale dal 2013 e che la cooperazione tra i due eserciti è stata in definitiva piuttosto limitata: le autorizzazioni al sorvolo del territorio algerino concesse all’aviazione francese da Bouteflika e fornitura di acqua e benzina a Barkhane ma nessuna collaborazione operativa o scambio di informazioni dal 2013. Eppure è questo che interessa Parigi nella lotta condotta nel Sahel contro i jihadisti. I recenti scambi tra i due direttori dei servizi segreti, la presenza ad Algeri di Bernard Emié, anche lui ex ambasciatore ad Algeri, accanto al presidente Macron nell’agosto 2022, come la visita del generale Saïd Chengriha a gennaio a Parigi, potrebbero accreditare l’idea che La Francia otterrebbe finalmente da Algeri un’effettiva e concreta collaborazione nel campo dell’intelligence. Possiamo sperarlo, perché l’esperienza e la competenza dell’Algeria nel Sahel, in particolare in Mali, possono essere preziose. Ma anche qui, non sopravvalutiamo la capacità e soprattutto la sincerità di eventuali impegni nei confronti di Parigi.
La questione migratoria, infine, potrebbe spiegare l’entusiasmo di Parigi nei confronti di Algeri. Questo file merita una spiegazione in sé.
La scommessa sulla questione migratoria:
una puntata massima per vincite incerte
Con la “questione memoria”, la questione migratoria è al centro del rapporto tra le due capitali. Per Parigi è fonte di preoccupazione, frustrazione e problemi. Riguarda tanto la diplomazia quanto la politica interna. È trattato tanto dal Quai d’Orsay, ansioso di non mettere fretta a un partner complicato e suscettibile, quanto da Place Beauvau, legato soprattutto alla sicurezza e all’ordine pubblico. Per Algeri, costituisce sia una garanzia (che l’Algeria sarà trattata meglio del Marocco) sia una “valvola” per una popolazione che (ancora) guarda spesso a Parigi per motivi familiari, accademici o medici. È anche il modo per tenere lontana una gioventù turbolenta dall’altra sponda del Mediterraneo. È quindi imperativo trovare un terreno comune in un’area in cui gli interessi sono contraddittori e talvolta inconciliabili.
Ma la spiegazione migratoria è anche un’arma a doppio taglio, perché la Francia su questo tema non è, o non vuole essere, in una posizione di forza. A prima vista, si potrebbe pensare che Parigi abbia molteplici possibilità, di fronte a un’Algeria che chiede sempre più visti e trattamenti privilegiati. La realtà è diversa, perché finora siamo vincolati dagli accordi franco-algerini conclusi nel dicembre 1968, che danno agli algerini vantaggi di cui nessun altro paese gode.
L’accordo del 27 dicembre 1968 ei vantaggi per gli algerini
L’accordo franco-algerino del 27 dicembre 1968 “relativo al movimento, al lavoro e al soggiorno dei cittadini algerini e delle loro famiglie” costituisce una deroga al diritto comune fissato dal codice di ingresso e soggiorno.Stranieri e diritto di asilo (CESEDA) . L’Accordo del 27 dicembre 1968, emendato tre volte da allora, presenta due caratteristiche peculiari:
• Da un lato, anche se alcune delle sue peculiarità sono state successivamente abolite o allineate al diritto comune, offre vantaggi a beneficio degli algerini, vantaggi che rendono la specificità della situazione di questi ultimi in termini di migrazione rispetto alle disposizioni di diritto comune . Così, questo regime speciale prevede, ad esempio, agevolazioni di ammissione al soggiorno, ricongiungimenti familiari allargati e apertura ai semplici titolari di visto turistico. L’iscrizione al registro di commercio o alla camera di commercio consente il rilascio di un permesso di soggiorno permanente, senza che venga valutata la fattibilità economica del progetto. L’accordo del 1968 è anche l’unico testo francese che prevede il rinnovo automatico del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero, senza possibilità di revoca se non su decisione del giudice in caso di frode. Il disturbo dell’ordine pubblico non è loro opponibile. Agli algerini non vengono imposte le condizioni per l’integrazione, la conoscenza della lingua francese e il rispetto dei valori della Repubblica.
• D’altra parte, data la superiorità, nell’ordinamento giuridico francese, di trattati o accordi regolarmente ratificati, gli algerini costituiscono un “punto cieco” nella legislazione francese sull’immigrazione, poiché non sono interessati da questa. Paris dipende dalla buona volontà, dall’umore, dall’astuzia o dalla malafede del suo partner. Per questo la spiegazione migratoria è reale, importante, ma anche a doppio taglio: la Francia è portata a negoziare passo dopo passo con l’Algeria, per ottenere alcune concessioni, ma in cambio a lasciar perdere su altri punti, per esaurire finalmente in tempi lunghi e discussioni spesso poco utili, ma che hanno il merito di occupare funzionari delle due sponde del Mediterraneo.
L’unica vera soluzione, come sappiamo a Parigi, consisterebbe nel rivedere l’intero sistema migratorio con Algeri, anche a costo di denunciare l’accordo franco-algerino del 1968 per portare gli algerini nella common law, così come tanti altri paesi. A Parigi, invece, è escluso il ricorso a quella che ad Algeri verrebbe percepita come “l’arma atomica”. Ad Algeri, naturalmente, temiamo l’uso da parte della Francia di quest’ultima arma, sottolineiamo il carattere particolare e straordinario del rapporto storico tra i due paesi ei due popoli; sappiamo che nel 2023 l’accordo del 1968 non è più rilevante in un contesto economico e sociale francese che non ha più nulla a che fare con quello che era durante il boom del dopoguerra; ci stupiamo, inoltre, che i leader politici francesi, sia di destra che di sinistra, non abbiano pensato prima di ricorrere a questa denuncia e a questa rinegoziazione e temiamo che prima o poi leader politici meno timorosi penseranno di denunciare puramente e semplicemente, senza particolari remore, l’accordo del 27 dicembre 1968.
Poche possibilità di accordo sostanziale
In questo contesto, si capisce che se il Presidente della Repubblica vuole vincere la sua scommessa algerina, o almeno darne l’impressione, deve trovare una martingala che permetta a tutti di affermare di aver ottenuto ciò che voleva. : per Algeri, l’assicurazione che l’accordo del 1968 sarà mantenuto; per Parigi, la certezza che Algeri farà concessioni – almeno ottiche, ma se possibile coerenti – sui lasciapassare consolari e la ripresa dei clandestini. In questo senso, è un’idea curiosa considerare una visita del presidente algerino in un momento in cui l’agenda dell’esecutivo prevede l’esame di una legge sull’immigrazione. O, al contrario, non è un’idea curiosa rimettere sul tavolo questo disegno di legge quando il presidente algerino dovrebbe venire a Parigi? Come potrebbero i francesi non fare il collegamento tra i due fascicoli, il controllo e il controllo dell’immigrazione e la visita del presidente di un paese che alimenta, come altri, ma in un quadro giuridico chiaro, l’immigrazione irregolare?
Su questa questione ci sarà quindi senza dubbio una partita a biliardo a più tavoli tra Parigi e Algeri: da una parte il presidente Tebboune che dovrà dimostrare al suo ritorno ad Algeri di aver ottenuto dal suo interlocutore l’assicurazione del mantenimento dell’accordo del 1968, così favorevole agli algerini (e si può anche immaginare che l’accordo in questione sarà integrato da alcuni miglioramenti). Dall’altra un presidente francese consapevole della delicatezza della questione migratoria ma che respinge l’idea di una possibile denuncia dell’accordo del 1968 e che dovrà ricordare al suo omologo le pressioni politiche esercitate sul suo governo. RN a LR tramite il suo ex Presidente del Consiglio (1), ovviamente sostenuto da un’opinione pubblica sempre più nervosa in materia. Il Capo dello Stato non potrà quindi che assicurare al suo interlocutore che, presiedendo, l’accordo del 1968 sarà preservato. In un certo senso, “tienimi indietro o faccio un pasticcio”.
Errori e rischi
della scommessa algerina
La scommessa algerina del presidente francese non alberga solo le illusioni che abbiamo appena passato in rassegna. Né tiene conto di quella che si dovrebbe chiamare la “ruvidezza” o semplicemente la repressione nella politica interna algerina e le conseguenze geostrategiche di questa scelta.
Silenzio francese di fronte alla politica interna algerina
Per mesi, infatti, dalla presa di potere da parte dell’esercito in concomitanza con l’elezione di Abdelmadjid Tebboune nel dicembre 2019, la Francia ha chiuso un occhio sugli attacchi alle libertà civili, ai diritti umani e alla libertà di stampa in Algeria. Dove intervengono, almeno attraverso comunicati stampa, le ambasciate americana e britannica, la Francia tace. Da tre anni l’esercito algerino, che aveva vacillato ai tempi di Hirak, fa di tutto per eliminare spazi di protesta o di libertà al punto che molti algerini rimpiangono l’era Bouteflika. Per comodità o per opportunismo, ma soprattutto per cecità, Parigi chiude gli occhi sulla realtà algerina. Quando la giornalista Ihsane el Kadi fu arrestata, processata e incarcerata, le capitali straniere protestarono, tranne la Francia, che rimase in silenzio – finché, come ultima risorsa, la Francia si unì ai parlamentari europei che condannarono gli ostacoli alla libertà di stampa in Algeria lo scorso maggio. Allo stesso tempo, il grande industriale algerino (e primo imprenditore nel continente africano) Isaad Rebrab, già incarcerato per dieci mesi nel 2020 per aver partecipato alle marce di Hirak e aver sostenuto un candidato presidenziale, poi rilasciato ma impedito di lasciare il territorio algerino , è stato nuovamente arrestato, posto sotto controllo giudiziario e vietato l’accesso ai suoi uffici e alle sue fabbriche. Immaginate, in Francia, Bernard Arnault arrestato per essersi schierato con un candidato diverso dal presidente uscente! Contemporaneamente, il generale Ali Ghediri, candidato alla presidenza contro Abdelmadjid Tebboune nel 2019, è stato condannato a sei anni di carcere per “danneggiamento morale dell’esercito”. Arrestato anche l’avversario Karim Tabbou.
Il duplice carattere brutale e preventivo di queste misure deve essere sottolineato perché dimostra la determinazione di un potere che non si fermerà davanti a nulla per mantenersi. E chi conta sul silenzio di Parigi… mentre Isaad Rebrab è stato ricevuto tre anni fa al vertice di Choose France. Perché, ad Algeri, sappiamo che la Francia scommette sull’Algeria e su quella di Abdelmadjid Tebboune, che sosterremo in caso di un secondo mandato. Lungi dall’essere limitato a un semplice atteggiamento morale, questo esame della situazione interna algerina è importante perché ha due conseguenze dirette per noi: da un lato, perché molti algerini, stanchi, sospettati o semplicemente preoccupati per la disgregazione del Paese, scelgono di fuggire dall’Algeria; dall’altro perché questa deliberata scelta a favore di Algeri ci porta ogni giorno un po’ più lontano da Rabat.
La preoccupazione degli algerini e l’aumento del rischio migratorio
Di fronte a una situazione del genere, preoccupati per se stessi o per i propri figli, molti algerini pensano ad una sola cosa, partire e fuggire. Ma andare dove, se non in Francia dove quasi tutti gli algerini hanno famiglia? Sono innumerevoli oggi le persone che chiedono il visto al solo scopo di fare un viaggio di sola andata, vale a dire rimanere in Francia in un modo o nell’altro con la speranza di essere regolarizzati un giorno. Le disastrose scelte strategiche industriali del 1962, la crisi economica, la corruzione nata dalla rendita petrolifera, lo scoraggiamento non solo delle élite delle grandi città del nord ma anche della gente delle campagne e dell’Algeria profonda fanno sì che di questo passo – lì, molte persone cercheranno di andarsene. È qui che troviamo il legame con l’accordo franco-algerino del 1968, poiché facilita l’insediamento di tutti in Francia. Chiudere un occhio sulla situazione interna del Paese equivale meccanicamente a favorire alla fine la fuga in Francia, ultima soluzione di ripiego.
Il rapporto danneggiato tra Francia e Marocco
Questa deliberata scelta a favore di Algeri ha un’altra nefasta conseguenza: ha contribuito a imbrogliare la Francia con il Marocco, mentre fino ad ora era riuscita a mantenere un equilibrio tra le due capitali del Maghreb. Lo scorso febbraio, una “fonte ufficiale interna al governo marocchino” ha affermato che i rapporti non erano “né amichevoli né buoni, non più tra i due governi che tra il Palazzo Reale e l’Eliseo” (1). Tuttavia, per ragioni identiche a quelle che richiedono un rapporto normale o almeno pacifico con Algeri, la Francia ha bisogno di un rapporto pacifico con il Marocco. Credere che la scommessa algerina ci esoneri da rapporti amichevoli e sostanziali con Rabat è un errore: i dossier (politici, di sicurezza, economici, migratori) su cui la Francia deve lavorare con il Marocco non mancano. Oggi la scelta esclusiva A favore di Algeri ce ne ha allontanato.
Con la sua scelta a favore di Algeri, il presidente Macron sta in qualche modo facendo “girare” il Marocco verso altri alleati o partner: alleati occidentali come Spagna, Stati Uniti, Israele – compresa l’alleanza di questi ultimi con il regno cherifiano è amplificata dalla Accordi di Abramo nel 2020 (2) – ma anche la Cina. La politica francese, anche ai tempi di François Mitterrand e François Hollande e ovviamente sotto le presidenze Chirac e Sarkozy, è stata fatta di un equilibrio sottile tra Algeri e Rabat, con inflessioni filo-marocchine o filo-algerine a seconda del periodo. Ma il contesto geopolitico è cambiato: sul mondo si sono alzati forti venti, le tensioni internazionali crescono ovunque, le potenze antioccidentali si stanno organizzando, il multipolarismo, tanto decantato da alcuni, significa vero disordine e frammentazione del mondo, in un contesto di scontro blocchi. Sarebbe un’illusione pensare di poter sfuggire a questa logica molto reale. Dovremo chiederci chi sono i nostri alleati, chi sono i nostri amici. In questa fase ci siamo allontanati dal Marocco e non stiamo raccogliendo nulla, o molto poco, dalla nostra scommessa algerina.
Il paese più stabile della regione, che dimostra dinamismo economico e strategia che offre opportunità che non possono essere trascurate, aspirando al riconoscimento del suo status di potenza regionale, non possiamo permettere che le nostre relazioni con il Marocco si deteriorino ulteriormente. Certo, alcune questioni sono delicate o spinose, come la questione migratoria o quella del Sahara occidentale, ma gettare un modesto velo non può essere una soluzione. La Francia deve prendere l’iniziativa. Forse non solo e pensando a un nuovo schema. Nicolas Sarkozy aveva progettato l’Unione per il Mediterraneo nel 2008 ma il suo formato (troppo) vasto ne limitava l’efficacia. Una poco conosciuta iniziativa regionale, il “5+5”, permette di confrontarsi su temi che vanno dall’economia alla sicurezza (2). Ma il crollo della Libia, la presenza della Mauritania e di Malta in questo foro contribuiscono a renderlo poco operativo. La Francia potrebbe immaginare una formula inedita, anche se difficile: accordandosi con Spagna e Italia, che affrontano gli stessi problemi della Francia (crisi migratoria, sicurezza, approvvigionamento energetico, Sahel, questioni economiche) e avendo di fronte i tre Paesi del Maghreb (Algeria, Marocco, Tunisia), potremmo provare a scaldare i rapporti con Rabat, aiutare il dialogo tra Madrid e Algeri (che oggi hanno congelato i loro rapporti) e, chissà, facilitare il dialogo tra Marocco e Algeria. L’idea di un “3+3”, diplomaticamente complessa, politicamente rischiosa, merita quantomeno uno studio approfondito.
Una riconciliazione fuorviante
La scommessa francese a favore di Algeri ci porterà, come abbiamo visto, solo pochi vantaggi sui temi chiave: nulla sul rapporto militare, probabilmente poche cose (o sempre le stesse) su quello economico o commerciale, difficoltà prevedibili con per quanto riguarda l’immigrazione, poco sul Sahel. A questo dobbiamo aggiungere i gesti commemorativi compiuti finora, gesti giustificati, e che senza dubbio continueremo a compiere.
Ma tutto questo soddisferà Algeri? Basteranno queste concessioni per porre fine al discorso antifrancese? Almeno, come ricompensa per la nostra scommessa, avremo convinto l’Algeria ad adottare nei nostri confronti, al di là delle parole, un atteggiamento se non amichevole, almeno neutrale o equilibrato sui temi che ci interessano, a cominciare dall’immigrazione? Niente è di meno su. Perché la forza del “sistema” algerino sta nella sua centralizzazione e nella sua unità da un lato, nella sua perfetta conoscenza della Francia e nella mentalità dei suoi dirigenti dall’altro. Non è da poco la decisione del presidente algerino, il 13 giugno, di reintrodurre nell’inno nazionale algerino Kassaman il verso che cita la Francia come nemica. Gli algerini, come abbiamo scritto altrove, ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo loro. È la loro forza. I loro diciotto consolati oggi, venti domani e la loro comunità stabilita in Francia costituiscono altrettanti punti di appoggio. La nostra scommessa algerina avrà forse il vantaggio di darci, almeno per un po’, una parvenza di serenità nel rapporto con Algeri, ma è molto probabile che prima o poi si scateni una nuova crisi e che dovremo porre lavorare sul dossier algerino, tanto fondamentale è una legge in questo rapporto: l’Algeria conosce solo i rapporti di forza. L’amicizia è una cosa, la difesa degli interessi nazionali è un’altra.
Tuttavia, va ripetuto, questa scelta a favore di Algeri, che implica il sostegno all’esercito e alla politica che persegue, avrà una conseguenza per la Francia: molti algerini, vittime o semplici spettatori dell’inasprimento della politica attuale, cercheranno di fuggire loro paese e verranno prima o poi, legalmente o illegalmente, a cercare rifugio in Francia. Un ex primo ministro algerino – ora in carcere – disse una volta a Pierre Gattaz, allora presidente del MEDEF, questa frase su cui dovrebbe riflettere ogni leader politico: “Se l’Algeria va male, è la Francia che va male”.
Conclusione :
scommettere sulla trappola algerina?
Alla fine di questa carrellata sulle illusioni della scommessa algerina di Emmanuel Macron, sui suoi errori politici e sui suoi rischi strategici, possiamo riconoscere che non abbiamo ancora penetrato il suo mistero. Perché il Presidente della Repubblica si ostina su un percorso che, all’apparenza, è un vicolo cieco? La spiegazione può in ultima analisi essere ricercata nella politica interna di ciascuno dei due paesi.
La scommessa fatta dal Presidente della Repubblica a favore dell’Algeria – anche a costo di una crisi con il Marocco – potrebbe avere la seguente motivazione: realizzare la riconciliazione di Francia e Algeria, riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito. Firmare un trattato di amicizia con Algeri come aveva fatto de Gaulle con la Germania equivarrebbe a riuscire dove né il generale de Gaulle, né François Mitterrand, né Jacques Chirac erano riusciti. Un tale successo diplomatico verrebbe presentato come una vittoria storica, una vittoria della Francia sulla sua storia, un passo capitale: sessantadue anni dopo la fine della colonizzazione in Nord Africa, la Francia riuscirebbe finalmente a voltare la dolorosa pagina della sua presenza la sponda meridionale del Mediterraneo.
Da parte algerina, si può ipotizzare che Abdelmajdid Tebboune, sostenuto dall’esercito nel 2019, avrebbe bisogno anche di un successo politico così spettacolare e clamoroso, che gli garantirebbe l’appoggio dell’esercito algerino alla vigilia di una possibile rielezione per un secondo mandato nel 2024. Unico sopravvissuto all’era Bouteflika, sa di aver bisogno di un impegno deciso da parte dell’ANP per dargli la necessaria legittimità.
Per ragioni diverse, i due capi di Stato hanno interesse a gesti diplomatici significativi e quindi a questo famoso viaggio rinviato tre volte: Emmanuel Macron per entrare nella storia delle relazioni franco-algerine, per riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito; Abdelmajdid Tebboune per dimostrare all’esercito algerino, senza il quale non può essere rieletto, di essere l’uomo adatto e di aver ottenuto dall’ex colonizzatore ciò che né Ben Bella né Boumediene, né Bouteflika avevano ottenuto.
Ma c’è una falla in questo ragionamento: scommettere oggi sull’Algeria è scommettere su Abdelmajdid Tebboune. Stiamo implicitamente scommettendo che l’Algeria è il presidente Tebboune, che è il leader dell’Algeria oggi e che lo sarà domani. Ma cosa accadrebbe se domani l’esercito decidesse di “cambiare cavallo” e di non sostenere più il candidato di Parigi? La Francia avrebbe “messo tutte le uova nello stesso paniere” e avrebbe perso i vantaggi che credeva di aver ottenuto. Tutto dovrebbe ricominciare, il lavoro dovrebbe essere rimesso al lavoro, la scommessa si trasformerebbe in una trappola: la Francia perderebbe l’amicizia marocchina, perderebbe anche dalla parte di Algeri.
Eppure, il presidente della Repubblica non ha detto nell’ottobre 2021 che se andava d’accordo con il suo omologo Tebboune, il problema era “il sistema politico-militare” che lo circonda? La lucidità, la chiaroveggenza e il senso tattico che si possono attribuire al Capo dello Stato dovrebbero indurlo a essere più realisti, poiché la vita internazionale non si limita al calore dei rapporti personali.